Dott.ssa

Giuliana Felici

PSICOLOGA E PSICOTERAPEUTA

Via Appia Nuova 261 - Roma

  Metro A Ponte Lungo

cell. 338.1169191

e-mail felici.giuliana66@gmail.com

I Colori del

LOCKDOWN

 

9  Marzo 2020 inizia il silenzio, crescono le file,  si incrociano gli sguardi sorpresi, nascono le domande, i dubbi. Se è un sogno, non riesco a svegliarmi. Si struttura man mano il bisogno di esserci, essere presente per sè stessi e per gli altri, i propri cari e le persone che vedo, accolgo ogni giorno e condivido con loro un pezzo di vita. Si avviano scambi con messaggi, conversazioni telefoniche, videochiamate, incontri on line. Sembra surreale, ma poi si scopre che ogni modalità è benefica, perché è il contatto che nutre, alimenta il nostro senso di esistere. Senza di questo siamo persi, siamo come ”liquidi”, confusi, disorientati. Io ci SONO, nell’ascolto silenzioso, nella parola, nella risata, nel respiro. Si il respiro, che è dentro e fuori di me, quante volte ho ripetuto queste parole, ”l’aria entra e esce, tutta l’attenzione della mente è solo sul respiro.. il respiro è la nostra ancora”. Nel passare dei giorni è nato così il desiderio di poter essere grata a tutti coloro che hanno condiviso con me questi mesi, raccogliendo i pensieri di ognuno e rendendo visibile quanto ogni esperienza risuona dentro in modo molto personale. Possiamo così ricordare, sempre, quanto siamo UNICI e SPECIALI, in un contesto dove invece tutto e tutti siamo inglobati in eventi e notizie, spersonalizzanti.

Grazie a tutti coloro che hanno scritto questi feedback sul periodo del lockdown e anche a chi ha partecipato solo con il pensiero.

 

S.R.: Ecco in un certo senso per me invece è stato un modo affinché tutti gli altri ma proprio tutti non solo gli sfigati, stessero come me, sentissero all'unisono come troppo spesso ho sentito io, che tutti in contemporanea come me e per giorni non avessero altro da fare che stare con se stessi, niente aperitivi, niente cene, niente incontri galanti niente viaggi ecc ecc ..... praticamente una situazione in cui non mi sono sentita "diversa" nei fine settimana o il sabato sera !! …………..Quello che mi è veramente mancato è stato il contatto fisico con il mio nipotino, l'abbraccio tenero ad un esserino di poco più di un anno che si affidava completamente a me mentre lo cullavo per il riposino pomeridiano oppure la sua risatina per le follie della nonna Stefania Clown e mi è pesato invece avere spesso un sottofondo di paura di ........vabbè non lo dico tanto pare che finora ce l'ho fatta..... . Ora se è vero quanto ci hanno raccontato, mi sento sempre un po' in bilico dietro il respiro corto da mascherina. La novità? no.. cosa vecchia direi... già.... tutti si riorganizzano, già pronti per mare, vacanze allegre forse ma non troppo.... comunque aspettative.... bene mi sento di nuovo " un po' diversa in molte occasioni " sto con me stessa nei fine settimana, ma durante la settimana ho un concentrato di tenerezza da abbracciare..... mio nipote.

 

F. DS: A differenza di molte persone nel periodo del Covid non sono rimasto a casa, ma ho dovuto lavorare anche con una frequenza maggiore rispetto alla routine normale, esponendomi tutti i giorni al rischio. Questo mi creava molta agitazione e stress. L'incontro settimanale di meditazione con la dottoressa Felici, mi ha dato ogni settimana gli strumenti per affrontare questo periodo di difficoltà, non vedevo l'ora che arrivasse questo momento. L'incontro settimanale per me era il modo per scaricare lo stress e per trovare nuove risorse per affrontare le difficoltà.

 

F. PF: Durante questo periodo di lockdown ho riflettuto su come il concetto di normalità sia cambiato fuori e dentro di me. È normale girare per strada con mascherine e guanti. È normale prendere la metro e sedersi ai lati opposti della fila di sedili. È normale fare code per qualsiasi servizio e doverle rispettare. È normale sentirsi arrabbiati, tristi, essere malinconici e nostalgici perché in questo e quel momento è quello che io provo. Tutto ciò però non ci definisce. Tutto ciò passerà e sarà sostituito da una nuova percezione di normalità, dentro e fuori di noi, facendoci scoprire anche nuove risorse che non sapevamo di possedere.

 

F.F.: Se qualcuno mesi fa mi avesse detto che, a causa di una pandemia, sarei dovuta stare rinchiusa in casa per mesi, probabilmente mi sarei messa a ridere. Purtroppo però la mia reazione il 9 marzo non è stata questa. Mi sono sentita disorientata, impaurita e impotente. I primi giorni in casa sono stati difficili.... la situazione è però migliorata quando mi sono resa conto che si stava molto meglio al sicuro tra le mura domestiche, dove non dovevo avere paura dell'aria che stavo respirando, piuttosto che fuori. Ci sono stati momenti in cui sono inciampata tra le mie mille emozioni, ma fortunatamente ogni volta imparavo qualcosa in più su come affrontare i momenti difficili. Si perché questo lockdown mi ha regalato il TEMPO di conoscere me stessa. Ho amato i momenti insieme alla mia famiglia; momenti di serenità e amore. Le settimane sono passate velocemente e finalmente tutto piano piano sta tornando alla normalità... ora paradossalmente ho nostalgia di tutti quei momenti di obbligata convivenza.

 

D.C.: Tutti in casa non si può uscire, allora ti guardi intorno e ti accorgi che non è poi così male. Pausa di riflessione, ti accorgi che dà tanto non facevi tante cose. Curare i fiori cucinare, affacciarti al balcone e guardare il cielo, sdraiati sulla sdraio in terrazza così senza fare nulla. Fare colazione con calma e avere il tempo di parlare con chi vive con te, di ascoltare... Poi in televisione tutti quei morti, le bare accatastate sui camion dell'esercito. Pieni di gente morta da sola senza il conforto di una mano famigliare. I bambini nati soli con le loro mamme. Pensi, è vero che come ha detto qualcuno si nasce e si muore da soli, però che bello avere vicino i propri cari, e riscoprire il calore e il valore di un abbraccio.

 

T.P.: Il lockdown per me è stata una lunga pausa nel turbinio della vita, una sosta per rifiatare. Mi sono concentrata su qualcosa che avrei sempre voluto fare o cose per cui pensavo di essere ormai in ritardo, rispetto alla vita. Ci sono stati, ovviamente, momenti di sconforto anche profondo, legati soprattutto all’ansia di vedere, ancora una volta, il tempo che scorre senza riuscire a progredire nel percorso della propria vita e vedersi allontanare il momento in cui sentirmi realizzata. Ma ho aspettato che quei momenti passassero e forse proprio allora ho iniziato ad accettare che alcuni eventi sfuggono al controllo e che è possibile trovare alternative agli ostacoli. Sono grata a me stessa di non essermi scoraggiata.

 

G.B.: Tutta quella immobilità stava atrofizzando il mio corpo, ridotto ormai a ciondolare dal letto al frigorifero.  La luce ospedaliera del computer infastidiva ogni giorno i miei occhi addormentati, mentre le ore trascorrevano fissando lo schermo in attesa che qualcosa inaspettatamente accadesse.

Il lavoro scarseggiava: noia e senso di inutilità.

Erano ore di silenzi e solitudine, trascorse scorrendo sui social network post ironici che non facevano più ridere poiché sempre accompagnati da notizie funeste. Numeri di contagi e previsioni per il futuro.

La mente correva spesso fuori dalla finestra.

Talvolta accompagnava i passi lenti di qualche anziano che, con la faccia coperta e la testa bassa, trascinava le buste della spesa. Lento, come se trasportasse il peso del mondo.

Altre volte cercava di attraversare i muri dei palazzi di fronte per spiare silenziosamente oltre il cemento, ma le persone, diffidenti, si nascondevano dietro i propri oblò.

Persone stufe che non mi rivolgevano sorrisi e che, come me, guardavano il cielo terso pensando che quest’anno non sarebbero andati al mare, con l’arrivo dell’estate.

 

A.G.: La condizione di “congelamento” mi ha de-responsabilizzata rispetto ad alcune decisioni che dovrei prendere e la catalizzazione, pressoché totale, delle conversazioni sui contagi etc mi ha – temporaneamente – “liberata” dal peso di dover “rendere conto”……………… . Forse ora, per la prima volta, ho davvero consapevolezza che non è il posto o il tempo che passa a poter mutare le situazioni, ma una centralità in sè stessi che mi possa rendere meno vulnerabile rispetto agli altri, che non cambiano. Ho compreso, anche con un certo dolore, che il non-scegliere è esso stesso una scelta, pavida…. Il giorno più bello della mia permanenza a Roma è stato poco dopo la fine della fase 1, quando sono uscita di casa, ho camminato tanto e ho scambiato qualche parola con persone conosciute per strada. Mi sono ricordata della capacità di trovare risorse e del desiderio di stare Bene. Il cammino che conduce all’amore di sé è molto più lungo di quello che pensavo, pieno di alibi e autoinganni; per me è come camminare “controvento”, dove il vento è ciò che mi sospinge indietro e mi fa appiattire in scelte non-mie, pur di compiacere e tacitare il malessere di sentirmi sempre-sbagliata. La psicoterapia mi sta aiutando a riconoscere subito che alcune “voci” interiori non sono mie, ma sono quelle ho assorbito negli anni e, rispetto a prima, sono molto meno ossessiva e riesco a “tornare in me” in tempo più breve…

 

E.M.: Il periodo del lock down per quanto mi riguarda è stato un periodo che sento di non aver sfruttato al meglio. Avrei potuto impiegare il tempo che avevo a disposizione per ampliare le mie conoscenze, per dedicarmi di più alla cura di me stesso. Non è stato così purtroppo…..In primis perché almeno nella prima parte, diciamo circa 20/25 giorni ho dovuto prendere coscienza di quello che stava accadendo, passando da un'opinione molto tranquilla rispetto al virus ad una decisamente più allarmante mano a mano che arrivavano notizie dal nord Italia e poi dal resto del pianeta. Una volta presa coscienza del problema nella sua portata globale ho iniziato a fare tutta una serie di valutazioni sulle conseguenze economiche globali e personali rispetto a quello che stava accadendo e ancora oggi le sto facendo…..Ho avuto modo di limitarne i danni personalmente ma gli effetti della depressione legata al lock down saranno molteplici secondo me. Mi è mancata in parte la presenza di altri esseri umani, sicuramente quello dei miei genitori, ma la possibilità di poter trasmettere loro il virus mi ha aiutato a superare il distacco per così tanto tempo, sentivo che stavo facendo qualcosa di buono per loro e non mi andava proprio di assumermi la responsabilità di trasmettergli qualcosa solo perché avevo la necessità fisica di doverli vedere……

 

C.TM: All’inizio ero divisa in questa dicotomia: da una parte “andrà tutto bene”, dall’altra “ho paura che possa finire male”….. In questo periodo ho avuto modo di riflettere e far caso a cose che sono normali, rompere così di netto la routine mi ha fatto notare le cose che mi sono mancate davvero e quelle di cui potrò fare meno. ……Attendo impaziente di vedere questa fine e di esaudire tutti i “poi vorrei” che ho collezionato in questi mesi, di dare tutti gli abbracci non dati, di cantare tutte le canzoni non cantate a squarciagola in macchina e di dire tutti gli “a domani” che non ho detto.

 

F.M.: E’ necessario che si parta dalle piccole cose, che ognuno sia sensibilizzato a propagare BELLEZZA e divulgare il concetto di Educazione e Senso Civico, che tanto ci affascina, che sia il fulcro del nostro cambiamento. Che la civiltà torni ad essere un concetto di cui vantarsi. … Vorrei tanto, soprattutto adesso, che da questo periodo, possa nascere l’Uomo Nuovo. Che nasca da qui, da noi, dall’Italia. L’esempio di una ricostruzione di noi stessi, basata su concetti semplici, quali l’Umanità, il Rispetto, l’Educazione per gli altri e per l’ambiente. Mi piacerebbe come un’onda che si propaga al mondo intero, come ha fatto questo virus. Che dal nostro bellissimo e amato paese possa infondersi un sentimento di recupero e valorizzazione delle risorse, che il nostro pianeta sempre ci offre…. L’Energia è dentro di noi ed è plasmabile a nostro piacimento. Energia che si rigenera. Energia Infinita. Buona Rinascita a Tutti.

 

G.N.:   Per il tipo di patologia che ho io, descrivere la mia esperienza sotto lockdown è abbastanza semplice. Nel mio vocabolario alla parola lockdown c'è scritto:"lo Xanax a costo zero". Non che sia stato un periodo facile anzitutto il contrario. Lavoro triplicato per me, lavoro da casa per la mia compagna, scuola a distanza di mio figlio, impegni sindacale all'ennesima potenza con tantissimi colleghi che mi contattavano con i loro problemi personali, bollettini sul Covid alla tv tutti i giorni e decreti da studiare ogni volta che uscivano. Una Silicon Valley in casa mia. Ma una volta che mi ero accertato che tutti i miei cari stavano chiusi in casa e stavano bene, dell'ansia neppure l'ombra. Tre mesi e mezzo in assoluta tranquillità. Non nascondo che ad un certo punto ho anche pensato di essere guarito, ma finito il lockdown l'ansia era ovviamente lì che mi aspettava. Come un detto cinese (tanto per rimanere in tema): siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico". Sono sempre più convinto che è necessario farsela amica ma una telefonata, un WhatsApp o un like sui social non sono gli strumenti idonei purtroppo. Gli strumenti giusti vanno ricercati dentro noi stessi.

 

C.P.: Non è facile scrivere anzi descrivere quello che è successo dentro e fuori di me quando la pandemia è diventata pandemia al punto da imporre un serrato lockdown e subito dopo la riapertura delle finestre poi delle porte infine dei portoni nella necessità di accompagnare il recupero della normalità’ quotidiana.

All’inizio del contagio, come sempre mi capita, ho cercato di capire se la questione mi riguardasse o se invece fosse confinata in altri siti, culture, esperienze. Il bombardamento mediatico di radio tv social ha in poco tempo trasformato il mio rifugio filosofico in un incubo che mi ha accompagnato ed ancora è con me. Perché incubo? Perché senti la presenza di un nemico sottile ma cattivo che non vedi ma che sai che sta appostato come un cecchino e che ogni giorno miete vite umane. I bollettini di guerra delle 18 erano un appuntamento fisso e letale per il mio equilibrio, perché capivo i numeri, i decessi, le cose da fare e non fare ma il senso di impotenza e inadeguatezza cresceva sempre di più’. Tutti parlavano non dicendo nulla cui potersi aggrappare: “È un virus che con il caldo dell’estate muterà come tutti i virus, no non è detto anzi se muterà potrebbe essere addirittura più’ virulento, “è molto contagioso ma con antibiotici giusti si guarisce normalmente, non è vero la polmonite interstiziale uccide i soggetti deboli anche perché il nostro sistema sanitario non è adeguato a questa emergenza”, ”muoiono solo chi ha già’ delle gravi patologie e un’età’ avanzata, non è vero in terapia intensiva ci sono anche giovani atleti e i decessi riguardano anche tutte le età...” e così’ via.

Il numero dei contagi aumentava geometricamente, i decessi pure ed io mi rinchiudevo sempre di più’ in casa e in me stesso, unica licenza era la gestione dell’ immondizia che comportava il giro del palazzo con guanti e mascherina. ”Ma i guanti anziché proteggere fanno male alla pelle, le mascherine disturbano la respirazione, e poi non si trovano né gli uni né le altre, come non si trova alcol disinfettanti ecc.” Ma la Protezione Civile e le istituzioni continuavano a bombardare numeri e buone regole di condotta. Con la stessa empatia del bollettino dei naviganti. I contagi comunque continuavano a salire al punto che i posti in terapia intensiva erano totalmente saturi determinando la giusta scelta etica di privilegiare i giovani. Allora i giovani si ammalano? Necessitino anche loro di terapia intensiva? E mia figlia dov’è? Che fa? Deve tornare in Italia perché’ a Londra parlano di immunità di gregge dando per scontati morti e feriti. Debbo farla tornare a casa in Italia. Le compagnie aeree, precedendo ciò che stava per avvenire, chiudono i voli, Alitalia sospende i servizi da e per Londra. Mia figlia non avverte giustamente la gravità’ del presente ma soprattutto del futuro. A fine marzo dopo una notte affollata di pensieri e mostri, chiamo mia figlia a Londra e con la decisione e autorevolezza che non mi sono proprie quando parlo con lei, le impongo di tornare e di andare in campagna da sua madre. Il fattore Q ci assiste troviamo un ultimo volo e un transfert dall’aeroporto alla casa di campagna.

Io continuo a stare in isolamento. Ora c’è il divieto generalizzato di uscire, in poco tempo c’è la desertificazione della città, io sto solo a casa, non ho contatti fisici ma solo via video. Questa nuova modalità’ di relazione se da una parte rompe l’isolamento dall’altra insinua sottilmente dentro di me il convincimento che nulla sarà più come prima. Passano i giorni e dove vivo comincia a sembrarmi una prigione, ostile, rumorosa, calda, disturbante. Dormo sempre meno e il mio unico conforto è sapere di aver fatto una cosa buona per mia figlia. Cerco di strutturare le giornate alternando lavori domestici ad attività professionali. Imparo a fare la lavatrice, a pulire la casa, a cambiare le lenzuola e il piumone. Intanto il lockdown produce un abbassamento del numero dei contagi e dei decessi giornalieri. Le cose oggettivamente migliorano. Iniziano le riaperture, ora si può andare a trovare i congiunti, ma chi sono? Come? Quando? Le notizie sempre assai contraddittorie non confortano, almeno me. Mano mano si torna ad una apparente normalità. Ovviamente i notiziari pubblici e privati si affannano a dirci che sicuramente con l’autunno ci sarà un’altra pesante ondata di contagi e che non bisogna abbassare la guardia. Giusto, è doveroso non abbassare la guardia ma sarebbe altrettanto giusto sorvegliare un pò meglio l’informazione, a forza di affermare e negare, aprire e chiudere, ciò che rimane almeno in me è una profonda incertezza per il futuro e una pesante insicurezza per il presente. Una delle cose a cui penso spesso è di non poter offrire a mia figlia la possibilità di vivere la sua vita in libertà’ e senza queste paure.

Ho parlato di numeri, contagi e decessi, ma non ho riflettuto abbastanza sui feriti e sulle ferite. Un passo indietro. Con la fine del lockdown mia figlia viene via dall’isolamento in campagna e si sposta a casa mia che io abbandono per andare in un altro quartiere a casa di mio fratello. Da questo momento comincia la mia vita in apnea, non c’è mai il pensiero del domani. I progetti sono l’oggi, il futuro si spegne nel presente. Non programmo, non traccio più traiettorie, non penso alle cose da far accadere. La vita vale sempre di meno l’esistenza  è sempre più fragile, il virus continua a dominare. Questi sono i pensieri. Il presente, unica dimensione possibile, diventa per me un presente senza l’ambizione del cambiamento. In questa fase mi accorgo come la solitudine che io ho sempre cercato e che mi ha fatto spesso una buona compagnia, diventi per me una modalità’ strutturale. Registro cambiamenti nei comportamenti miei e delle persone A me vicine, siano esse parenti, amici o conoscenti. Prevale la prudenza l’istinto di conservazione la paura del contagio. Si rinuncia un po’ a vivere l’essenza stessa dell’umanità preferendo il non rischio. Il virus da una parte e dall’altra la nostra ormai conclamata solitudine.

 

Leggo tutto d’un fiato… provate a leggere i feed-back uno dopo l’altro…. cosa sentite? Come vi risuonano dentro queste parole….. quali emozioni e pensieri vi suscitano? Possiamo fare tesoro dell’esperienza di ognuno e al contempo cogliere come ci sia un filo che ci collega che ci rende più vicini di quanto pensiamo… cosa pensate che sia?....

Chi lo desidera può lasciare un commento nella pagina delle recensioni, affinchè possa essere condiviso.

GRAZIE!

 

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